Caduta causa tacco, nessun risarcimento
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Attenzione alla caduta se indossi il tacco: nessun risarcimento per la caduta con i tacchi a spillo
Una donna ricorre in giudizio contro il gestore di un supermercato a seguito di una caduta avvenuta all’interno di un locale di una nota catena di supermercati, lamentando di aver subito delle lesioni personali a seguito della caduta provocata dalla presenza di una sostanza scivolosa presente sul pavimento del supermercato.
Il gestore del supermercato si difendeva deducendo l’assenza sul pavimento di una qualsiasi sostanza scivolosa, ed attribuendo la causa della caduta “ai tacchi molto alti” indossati dalla signora. Il Giudice delle prime cure accoglieva la domanda risarcitoria, ma in appello la decisione veniva ribaltata in quanto per la Corte territoriale riteneva non assolto dall'attrice l'onere di provare il nesso causale, ed in particolare che la caduta fosse da ascrivere alla presenza di sostanza scivolosa sul pavimento del supermercato.
La Corte d’Appello quindi si orientava nel senso di rigettare la domanda risarcitoria promossa dalla donna, anche alla luce dell'inattendibilità della deposizione di un testimone il quale indicava la presenza del liquido "in luogo diverso da quello in cui si verificava la caduta", nonché quanto accertato dagli agenti di polizia intervenuti sul luogo del sinistro, secondo cui "nel punto della caduta il pavimento risultava asciutto ed era visibile una strisciata nera simile a quella di un tacco".
La donna quindi ricorreva in Cassazione, insistendo sulle proprie ragioni, ma la Suprema Corte con l’ordinanza 3046/2022, ha rigettato il ricorso confermando l’esito del secondo grado. In particolare, la Corte ha ritenuto che è onere del danneggiato provare l’esistenza del nesso causale tra l’evento ed il danno, pertanto ha escluso la responsabilità ai sensi dell'articolo 2051 codice civile per le cose in custodia.
Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, per la Cassazione, la caduta in un supermercato non è risarcibile se si indossano tacchi a spillo e se non si dimostra la presenza di una sostanza scivolosa sul pavimento.
Tuttavia non è la prima volta che i tacchi finiscono al vaglio dei Giudici di Legittimità.
Già nel 2013 con la sentenza n. 3662, la Corte di Cassazione si è pronunciata negativamente sul ricorso di una donna napoletana che chiedeva il risarcimento per le lesioni riportate a seguito della caduta a causa di un gradino “sbeccato”, sulla scalinata della Chiesa, ove si era recata per partecipare ad una cerimoniale nuziale.
Anche in tale occasione la Corte di Cassazione, ha messo in rilievo che la responsabilità da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva, nel senso che presuppone l’esistenza d’un nesso causale tra la cosa ed il danno. Essa, dunque, viene a configurarsi in relazione a tutti i danni cagionati dalla cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, con ciò evidenziandosi, però, che la natura della cosa e le modalità che ne connotano in concreto e normalmente la fruizione sono da tener presenti nell’eziologia dell’evento come scaturente dalla quella “determinata” cosa.
In conclusione la Corte ha escluso che sussistesse un “rapporto causale tra la scalinata e la caduta”, mettendo non solo in risalto, a fronte della necessaria prudenza da prestare nell’accingersi alla percorrenza di una scalinata, la agevole evitabilità, in ora diurna, dell’ostacolo rappresentato dalla lesione di un gradino in quanto “situazione perfettamente visibile”, con la conseguenza che, sia pur riconosciuta la presenza di un gradino lesionato, la verificazione del sinistro era da ascrivere alla disattenzione della donna, giacché calzava “scarpe da cerimonia con tacchi molto alti”, quale comportamento “riconducibile al caso fortuito”, idoneo ad interrompere il rapporto di causalità ex art. 2051 cod. civ.
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